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Da Giugno 13, 2024 a Giugno 16, 2024

Art Basel – Magnificent Symposium

Mazzoleni è lieta di partecipare ad Art Basel il prossimo giugno nella sezione Galleries, con la mostra collettiva “Magnificent Symposium“. L’esposizione offre un’opportunità unica per esplorare l’opera di cinque artisti italiani che abbracciano due generazioni: Giorgio de Chirico (1888-1978), Alberto Savinio (1891-1952), Salvo (1947-2015), Giulio Paolini (1940) e Michelangelo Pistoletto (1933). La presentazione si concentrerà sul tema del mito e delle leggende, svelando somiglianze e divergenze nei diversi linguaggi adottati dagli artisti e nella narrazione di elementi mitici, simbolici e onirici.

Art Basel 2024 | Messe Basel | Booth E19, Hall 2.0
VIP Days (su invito): 11 – 12 Giugno 2024
Vernissage (su invito): 12 Giugno
Public Days: 13 – 16 Giugno

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“Tutta la mitologia moderna ancora in formazione ha le sue fonti nelle due opere, quasi indiscernibili nello spirito, di Alberto Savinio e di suo fratello de Chirico”.

André Breton, Anthologie de l’humour noir (1940) .

Alberto Savinio, 1891-1952
Chevaucher marine, 1929
Oil on canvas
60 x 73 cm - 23 5/8 x 28 3/4 in
Giorgio de Chirico, 1888 - 1978
Il pittore paesista, 1958 ca.
Oil on canvas
100 x 80 cm - 39 3/8 x 31 1/2 in

Giorgio e Andrea de Chirico – che prese il nome di Alberto Savinio nel 1914 – condividono un percorso di formazione internazionale, influenzata dalla cultura classica mediterranea, dal romanticismo e dalla filosofia nichilista tedesca e dall’avanguardia parigina. Entrambi nati in Grecia (a Volo de Chirico, ad Atene Savinio), i due fratelli saranno profondamente influenzati dagli anni della loro giovinezza, caratterizzati da un’atmosfera intrisa di immaginario classico e mitologico. Questa dimensione si riflette in maniera pervasiva in tutta la loro produzione artistica e letteraria, sia nei temi trattati che nello stile adottato, nei paesaggi dipinti e nei personaggi evocati. Sebbene entrambi affrontino temi comuni come il viaggio, il mistero della separazione, il turbamento del ritorno e le riflessioni sulla natura umana, le loro interpretazioni spesso conducono a risultati stilistici e iconografici distinti.

Savinio, nel suo testo teatrale Les chants de la mi-mort del 1913, introduce una serie di personaggi surreali, tra cui compare un uomo “senza voce, senza occhi e senza volto”. Questa è la prima descrizione del manichino, l’archetipo del personaggio metafisico, che comparirà poi nei celebri dipinti di de Chirico. Queste figure senza volto, in parte umane, in parte statue, in parte oggetti, sono composte da un arsenale di figure geometriche, appuntite e volutamente sproporzionate, con una fattezza mostruosa ma allo stesso tempo fragile.

Giorgio de Chirico, 1888 - 1978
Le muse inquietanti, late 1950s
Oil on canvas
100 x 70 cm - - 39 3/8 x 27 1/2 in

Degli anni Cinquanta sono le Le muse inquietanti. Realizzato per la prima volta nella seconda metà degli anni Dieci, in questo dipinto compaiono in scena dei personaggi misteriosi, il cui aspetto ricorda quello dei manichini.

La scena è dominata da una piazza deserta, illuminata da una luce irreale che conferisce all’ambientazione un’atmosfera onirica e misteriosa. Il fondo della tela ha un orizzonte lontano, le ombre lunghe e nette creano un contrasto marcato, amplificando la sensazione di irrealtà e incertezza. Al centro della composizione, si ergono due statue di muse classiche, simboli tradizionali dell’ispirazione all’arte antica, che tuttavia, anziché incarnare la bellezza e l’armonia, appaiono distorte e inquietanti, con volti senza espressione e posture rigide. Qui il manichino si fonde con la statuaria classica, in cui risuona l’influenza della terra natìa. Le anime, le forme e i personaggi del mito greco, insieme alla maestosità tranquilla della statuaria classica, costituiscono i fondamenti dell’ispirazione di de Chirico, che attinge all’arte greca antica tramite teste marmoree, anfore e statue conservate nei più importanti musei archeologici italiani.

“Una statua in gesso simula un originale che non vediamo, una fotografia ci riferisce qualcosa a cui non assistiamo direttamente in quel momento, un disegno prospettico allontana il piano della visione di quel poco che ci consente di non vedere la tela su cui è fatto. Mi affascina ogni congegno di falsificazione, di finzione del racconto attraverso materiali”.

Intervista a Giulio Paolini di Angela Vettese, Time Machine, in Flash Art, 24 maggio, 2017.

Giulio Paolini, 1940
L'altra figura, 1983
Two whole and one fractured plaster casts, white plinths
165 x 85 x 40 cm - 65 x 33 1/2 x 15 3/4 in

La produzione artistica di Giulio Paolini costituisce un’approfondita esplorazione del processo creativo nell’arte. L’opera esiste in una dimensione preesistente, anche se in modo platonico, rispetto all’artista che si impegna a renderla tangibile, invitando lo spettatore a elaborare la propria interpretazione. Paolini si interroga sul ruolo dell’artista, sugli strumenti della rappresentazione, sul legame tra autore e opera, tra opera e spettatore, e tra spettatore e artista.
L’opera L’altra figura (1983), si compone di due calchi in gesso della copia romana in marmo del volto dell’Atena Lemnia di Fidia, una delle tre statue bronzee presenti nell’Acropoli di Atene in onore della dea della saggezza Atena.
Pur manifestando una calma apparente, i due busti sembrano interrogarsi se quei frammenti siano parte di essi e paiono riflettere sull’irrecuperabilità del passato. L’aura di mistero e l’allusione all’assenza evocano temi quali la malinconia e la nostalgia per il passato classico, il calco costituisce per Paolini uno strumento privilegiato per riflettere su tematiche quali la visione, la duplicazione dell’immagine, il rapporto tra l’immagine e il tempo della storia.

Giulio Paolini, 1940
Clio, 1977-1978
Pencil on photo canvas (triptych)
110 x 80 cm (each) - - 43 1/4 x 31 1/2 in (each)

Nell’opera Clio (1977) Paolini inscrive nello schema spaziale di una stanza il raddoppiamento del vis-à-vis speculare di due identiche riproduzioni fotografiche della musa Clio. Qui, l’artista si rivolge direttamente alla musa della storia, evocando il potere delle narrazioni nel plasmare la nostra comprensione del mondo. Tuttavia, al di là di una mera celebrazione del passato, Paolini suggerisce che il mito sia una forza viva e mutevole, intrinsecamente intrecciata con l’esperienza umana presente. (L’immagine intitolata Clio from a statue in the Villa Borghese è ripresa dal volume di T. Hope, Costumes of the Greeks and Romans, Dover, New York 1962, tav. 109).

Penso che il termine tempo sia fondamentale per capire il mio lavoro. Rispetto all’arte intesa tradizionalmente nel mio lavoro c’è una differenza, che è la seguente: non più soltanto la bidimensionalità, non più soltanto la tridimensionalità ma la quadridimensionalità.

(Germano Celant e Michelangelo Pistoletto Continuum, in Germano Celant, Pistoletto, Fabbri Editori, Milano, 1992, p. 27).

L’opera di Michelangelo Pistoletto, attraverso una pluralità di linguaggi che spazia dalla performance all’installazione scultorea, è una magistrale combinazione di elementi concettuali e visivi, in cui il mito è spesso uno strumento per esplorare il rapporto tra l’individuo e la società contemporanea, indagando questioni sociali, politiche e culturali.

Nelle sue opere, Pistoletto ricorre all’allegoria per trattare temi quali l’identità, la memoria e il tempo. Uno dei principali esponenti dell’Arte Povera, a partire dagli anni Sessanta Pistoletto ha prodotto quadri specchianti, che sfidano la tradizionale idea di dipinto come finestra sulla realtà, coinvolgendo attivamente lo spettatore nella creazione dell’opera stessa attraverso il riflesso. L’idea di superficie riflettente richiama la concezione classica di arte come specchio della realtà e come strumento per riflettere sul nostro ruolo nell’universo in continua trasformazione.

“A me interessavano i santi che fossero un po’ come Ercole e l’Idra, soggetti mondiali. Il drago c’è nella mitologia greca, nella religione cattolica, ma anche nell’arte cinese… a me interessava il significato simbolico della figura dell’uomo che combatte contro il drago.”

L’artista in Conversazione mobile tra Salvo e Laura Cherubini in Laura Cherubini, Il paese delle meraviglie e le Tavole della Legge, Castello di Volpaia, 1994.

 

Salvo, 1947-2015
San Giorgio e il drago, 1976
Oil on canvas
73 x 60 cm - - 28 3/4 x 23 5/8 in

La pratica del revivalismo e della citazione può essere fatta risalire alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo. Questo periodo è stato un laboratorio fondamentale per ripensare e sperimentare i riferimenti del passato. Uno dei momenti più significativi del secolo scorso a questo proposito è stato identificato nella metafisica di Giorgio de Chirico. Il Neoclassicismo teatrale di de Chirico mostra una consapevolezza autocritica e autoironica che ritroviamo nell’approccio archeologico di Salvo.

 

 

Salvo, 1947-2015
Untitled, 1984
Oil on canvas
190.5 x 200 cm - - 75 x 78 3/4 in

Tale spirito archeologico accompagna l’intera parabola artistica di Salvo, nutrendo fin dal principio i linguaggi e le tecniche con cui sperimenta a partire da fine anni Sessanta, primi anni Settanta: le lapidi marmoree con incisioni, gli autoritratti come Cristo benedicente, gli autoritratti fotografici ispirati a Raffaello, le liste di illustri personaggi storici e artistici del passato in cui include il suo nome.

Salvo aveva ripreso definitivamente la pittura nel 1973. In una prima fase l’iconografia delle sue opere si concentra su diverse versioni di San Martino e il povero e di San Giorgio e il drago nelle loro interpretazioni rinascimentali, che a sua volta trasporta nel Novecento sostituendo talvolta il proprio volto a quello del santo rappresentato e adottando una tavolozza inconsueta, fatta di lilla, viola, rosa, indaco, giallo e verde acido.

L’opera monumentale Il trionfo di San Giorgio (da Carpaccio), 1974, è esposta ad Art Basel Unlimited.

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