Le parole non mi sono d’aiuto quando provo a parlare della mia pittura. Questa è un’irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi altra forma di espressione. È una presenza nello stesso tempo imminente e attiva. Questa è quanto essa significa: esistere così come dipingere. La mia pittura è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che non posso rivelare con parole.
Alberto Burri nasce a Città di Castello (Perugia) il 12 marzo 1915. Si laurea in medicina nel 1940. Quale ufficiale medico è fatto prigioniero degli alleati in Tunisia nel 1943 e viene inviato nel campo di Hereford, Texas. Qui comincia a dipingere. Scriverà Cesare Brandi dell’esperienza catartica che l’esercizio della pittura ebbe sull’artista durante la prigionia: “chiuso nel campo…rifiutando l’esercizio di quella attività [la medicina] la pittura, che era stato all’orizzonte più remoto della sua vita, venne a proporsi prima come ozio e svago e via via, come sostituzione di azione, indi azione stessa”.
Tornato in Italia nel 1946, si stabilisce a Roma e si dedica alla pittura. Nel ’47 e ’48 tiene le prime personali a Roma (Galleria La Margherita). Nel 1951 partecipa alla fondazione del gruppo “Origine” con Ballocco, Capogrossi, Colla. Nel documento si legge la volontà di superare l’astrattismo storico e di come gli “artisti del gruppo esprimono la necessità stessa di una visione rigorosa, coerente, ricca di energia. Ma, primariamente, antidecorativa […]”. Sono anni cruciali in cui l’artista isola la materia, lavora sulle sovrapposizioni, su lucido e opaco, le superfici, i primi inserti.
Nel 1949, compare per la prima volta un frammento di sacco (SZ1) tematica che l’artista svilupperà pienamente negli anni successivi: sarà dal 1953 che l’artista presenterà “lo scandalo e la gloria prima” della sua opera al Guggenheim di New York: i Sacchi, presentati nelle mostre personali che, dopo New York, si tengono a Chicago, Colorado Springs, Oakland, Seattle, San Paolo, Parigi, Milano, Bologna, Torino, Pittsburgh, Buffalo, San Francisco.
Al volgere del sesto decennio, nei successivi appuntamenti con il pubblico (Venezia, Roma, Londra, New York, Bruxelles, Krefeld, Vienna, Kassel) appaiono i Legni, le Combustioni, i Ferri, in una continua sperimentazione con la materia. Materie vere, umane, antropiche che si costituiscono come oggetto stesso dell’opera, e così ascendono alla forma.
Agli inizi degli anni sessanta si segnalano in successione ravvicinata, a Parigi, Roma, L’Aquila, Livorno, e quindi a Houston, Minneapolis, Buffalo, Pasadena, le prime ricapitolazioni antologiche che, con il nuovo contributo delle Plastiche, diverranno vere e proprie retrospettive storiche a Darmstadt, Rotterdam, Torino e Parigi (1967-1972).
All’inizio degli anni ’70 Burri inizia una nuova serie di lavori – i Cretti – che, nella loro restituzione fisica e visiva, ci mettono di fronte all’origine dell’energia di una superficie portandoci alla mente l’immagine di un fenomeno geologico. Queste opere sono realizzate con caolino, resine, pigmento e vinavil. La loro genesi è legata al rapporto dell’artista con la California dove dal 1968, per diversi anni, risiederà a Los Angeles, soprattutto nei mesi invernali: “Quando ero in California, andavo spesso a visitare il Deserto della Morte. L’idea viene da lì, ma poi nel quadro è diventata un’altra cosa. Volevo solo mostrare l’energia di una superficie.”
In un interessante paradosso, i Cretti rappresentano l’esito finale e fissato su un supporto di una decostruzione che genera costruzione, così come nelle Combustioni degli anni Cinquanta la materia diventa forma retrocedendo al nulla.
Dopo lo scandalo e il rifiuto di buona parte della critica, per Burri il successo senza riserve arriva con gli anni Sessanta e si consolida alle soglie dei Settanta. Ma intanto, la sua visione tende a rasserenarsi; depone gli accenti drammatici della ricerca informale, pur conservando tutta la propria solennità ed ampiezza di respiro, mentre si susseguono le retrospettive storiche: Assisi, Roma, Lisbona, Madrid Los Angeles, San Antonio, Milwaukee, New York, Napoli.
Il decennio che va dalla metà degli anni Ottanta all’anno della scomparsa di Burri, è dominato da dipinti che hanno per titolo Nero o Annottarsi. Inquietante e suggestiva espressione, “annottarsi”, che è come dire “farsi notte”, inoltrarsi nella notte. Per Burri, giunto al settantesimo anno di età, è anche un “farsi notte” dell’esistenza, un andare verso l’estrema soglia. Tonalità, il nero, spesso accordata al rosso, fin dai sacchi, o in anni successivi all’oro, in un accostamento di potente espressività che si coglie anche nei “cellotex”, ora occupa quasi interamente la sua immaginazione.
Nel 1989 la Fondazione Palazzo Albizzini acquisisce gli Ex Seccatoi del Tabacco, complesso di capannoni industriali destinati fino agli anni Sessanta all’essiccazione del tabacco. Queste architetture irripetibili, di insolita grandezza, completamente dipinte di nero all’esterno per desiderio di Burri, sono state così trasformate in una gigantesca scultura, contenitore ideale per i grandi cicli pittorici come Il Viaggio, Annottarsi, Rosso e Nero, Non Ama il Nero. Queste ed altre numerose opere, tra cui le tre sculture Grande Ferro Sestante, Grande Ferro K, Ferro U, collocate all’ingresso degli Ex Seccatoi del Tabacco, sono state donate dall’artista a Città di Castello per completare il primo nucleo collocato a Palazzo Albizzini. Nel 1990 la Fondazione Palazzo Albizzini ha pubblicato un amplissimo volume con la documentazione relativa a circa 2000 opere dell’artista (Burri contributi al Catalogo Sistematico).
Nel 1991 una grande retrospettiva, organizzata dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna, è allestita a Palazzo Pepoli Campogrande di Bologna, ove vengono esposte per la prima volta le opere di piccolissimo formato. La mostra prosegue poi per Locarno, ospitata nella Pinacoteca Comunale Casa Rusca. Contemporaneamente il Castello di Rivoli presenta 20 Cellotex inediti. Sempre nel 1991 Burri espone alla Mixografia Gallery di Los Angeles. Nel 1992 viene presentato al pubblico il ciclo Metamorfotex agli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello e con l’occasione la Fondazione Palazzo Albizzini presenta il catalogo degli Ex Seccatoi del Tabacco, con bibliografia aggiornata. Nello stesso anno nuovamente la Galleria Sapone di Nizza propone opere di Burri alla F.I.A.C. di Parigi al Grand Palais, questa volta con quadri dal 1949 al 1992 ; la Galleria delle Arti di Città di Castello ospita una mostra di grafica. La Obalne Galerije di Pirano e la Moderna Galerija di Lubiana espongono una retrospettiva di opere grafiche (dal 1962 al 1981) tra il 1992 e il 1993.
Nel 1993 presso gli Ex Seccatoi del Tabacco viene aperto al pubblico un nuovo ciclo, dal titolo Il Nero e l’Oro, che consta di 10 Cellotex. Nello stesso anno viene realizzata per Faenza un’opera in ceramica di grandi dimensioni, che porta lo stesso titolo Il Nero e l’Oro, collocata al Museo Internazionale delle Ceramiche, dono dell’artista alla città. Sempre nel 1993 presso il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara vengono esposte le opere grafiche del Maestro. Nel 1994 Burri partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968 presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Dall’ 11 maggio al 31 giugno ’94 presso la Pinacoteca Nazionale di Atene viene presentato il ciclo Burri il Polittico di Atene, Architetture con Cactus, che verrà esposto in seguito presso l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (1995). Il 10 dicembre 1994 viene celebrata la donazione di Burri agli Uffizi in Firenze, che comprende un quadro Bianco Nero del 1969 e tre serie di grafiche datate 1993-94.
Alberto Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995.
Fonti
The new decade: 22 European painters and sculptors, catalogo della mostra, Museum of Modern Art di New York, 1955
Cesare Brandi, Burri, 1963
Germano Celant, L’inferno dell’arte italiana, 1996
Cesare Brandi, Burri, 1963
Maurizio Calvesi, Percorso di Burri, s.d.
Fondazione Burri