Gino Severini

Nasce a Cortona nel 1883 e muore a Parigi nel 1966. Fra i protagonisti del Futurismo, ha svolto un ruolo fondamentale come punto di contatto tra l’arte italiana e francese nel periodo delle avanguardie e in seguito del ritorno al classicismo (Rappel à l’ordre). Si forma a Roma presso lo studio di Giacomo Balla che frequenta insieme a Umberto Boccioni. Ma già nel 1906 è a Parigi dove si trasferisce: esordisce come pittore applicando la tecnica del pointillisme (Printemps à Montmartre) sulla scia di Seurat – e prima ancora del divisionismo italiano – che sarà alla base anche della sua interpretazione personale del Futurismo. Nel 1908 partecipa all’Exposition des artistes indépendents e al Salon d’Automne. Al movimento di Marinetti aderisce firmando i manifesti nel 1910: la ricerca della simultaneità dei punti di vista, la visione urbana dinamica – dai cabaret alle strade – si coniuga agli effetti luministici del pointillisme giungendo a un particolare astrattismo, evidente in quadri come Danzatrice + Mare + Vela = Mazzo di fiori.
La scomposizione del soggetto è già di matrice cubista, nella sua declinazione “orfica” che ne aveva dato il pittore Delaunay: Severini insegue i ritmi dello chahut, can can di moda nei locali notturni. Dipinge feste a Montmartre, Pigalle, corse dei treni. In quegli anni a Parigi entra in contatto con i fratelli Duchamp, Léger, il poeta Paul Fort (di cui sposerà la figlia Jeanne), che incontra regolarmente alle Closerie de Lilas, e s’intensificano le mostre che lo vedono protagonista insieme ai futuristi. Nel ’13 approda a Londra, alla Marlborough Gallery con una prima personale e redige, su richiesta di Marinetti, un manifesto: Le analogie plastiche del dinamismo (verrà pubblicato solo nel ’58). Vi teorizza la simultaneità della visione dettata non solo dal movimento ma anche dai processi inconsci e i meccanismi della memoria.
Al 1914- 1915 risalgono una serie di dipinti a tematica bellica che sigillano la stagione d’avanguardia. L’anno dopo, nel ’16, con il quadro Maternità e il Ritratto di Jeanne anticipa il Ritorno all’Ordine con una piena figuratività in chiave primitivistica, guardando a Giotto, Masaccio, l’Angelico. Negli anni Venti, prima a Montegufoni (Firenze), poi in Svizzera, si dedica all’affresco: se nel castello di Montegufoni fanno la loro prima apparizione le maschere della Commedia dell’arte, in Svizzera il tema è religioso, dovuto anche alla frequentazione di pittori come Maurice Denis. Semsales e La Roche (1927) rappresentano i cicli più celebri. Resta però legato alla Francia e ai suoi umori culturali: nel ’21 pubblica Du Cubisme au classicisme. Estetique du compas et du nombre e negli anni Trenta è vicino agli Italiens de Paris. Realizza molte Nature morte, su vetro, tela o carta e tempera.
Suggestionato dai dipinti di Pompei, esegue opere capisaldi del gruppo Novecento (Le due anatre) con una pennellata che ricorda gli scintillii musivi dell’arte antica. Nel ’28 è alla Biennale di Venezia dove tornerà in diverse edizioni. Espone alla Triennale di Milano (’33), all’estero a Parigi, Amsterdam, New York (nel 1936, mostra Cubism and Abstract Art), alla Quadriennale romana. È anche scenografo e lavorando per gli spettacoli del Maggio Fiorentino approfondisce lo studio delle maschere della Commedia dell’arte, soggetto prediletto degli anni Quaranta, con Arlecchini e Pierrot. Torna in Francia, medita su Matisse (scrive una monografia sull’artista) e intreccia le maschere musicali con le figure di odalische. Negli anni Cinquanta ripropone un neocubismo e continua a fare da tramite, per le nuove generazioni, con gli intellettuali francesi. L’astrazione ormai è geometrica, spesso con citazioni dal vecchio periodo pointillista. Nel ’51 inaugura il ciclo a mosaico della chiesa Saint Pierre a Friburgo. Nel ’59, a Roma, ricostruisce a memoria il quadro La danza del pan pan al Monico, andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Due anni dopo la città gli dedica un’antologica a Palazzo Venezia. Nel 2011-12 il Mart di Rovereto allestisce una grande retrospettiva.